Oggi più che mai il tema della tutela ambientale è al centro delle questioni economiche di ogni paese.
Tutte le aziende sono ormai consapevoli che, per accrescere la credibilità e migliorare il posizionamento del proprio brand nella mente dei consumatori, devono mostrarsi quanto più possibile eco-friendly.
Non sempre però ciò che mostrano è realmente un orientamento corretto ma solo un greenwashing ovvero un ecologismo di facciata.
Come le aziende fanno greenwashing
Il greenwashing è a tutti gli effetti una strategia di comunicazione ad opera di aziende o enti che fanno promesse ai consumatori non verificabili riguardo l'impatto della propria attività sul clima.
Esaltano gli effetti positivi di alcune azioni cercando di occultarne i negativi di altre.
Di solito questo tipo di comunicazione è molto generica e vengono forniti dati presentandoli come certificati quando invece non sono riconosciuti da organismi terzi accreditati e autorevoli.
Di un prodotto viene esaltata una caratteristica per gettare fumo negli occhi al consumatore sperando che basti quella peculiarità per classificarlo come prodotto green. Sono poi volutamente tralasciati altri aspetti più importanti in un’ottica di sviluppo sostenibile.
Si cerca, quindi, di preservare la reputazione di un'impresa occultandone i lati oscuri e per nulla ecologici. Vengono scelte azioni di marketing specifiche affinché le normali attività dell’impresa risultino più sostenibili di quanto siano nella realtà.
Gli esempi più eclatanti di greenwashing degli ultimi anni
Il colosso americano della bevanda più famosa al mondo è stato al centro di controversie denunciate da un'associazione senza scopo di lucro perché, tramite le campagne pubblicitarie “Every Bottle Back” e “World Without Waste”, mirava a convincere i consumatori che le sue bottiglie di plastica e i relativi tappi fossero progettati per essere riciclabili al 100%. La realtà era ben diversa in quanto solo il 30% delle bottiglie è effettivamente riciclabile come ben sanno gli operatori delle industrie della plastica. Inoltre Coca Cola era ed è il principale produttore di rifiuti plastici nel mondo e si è sempre opposta alle bottle bills ovvero a delle leggi che imporrebbero una piccola tassa sull’acquisto delle bottiglie di plastica (la tassa verrebbe poi restituita al consumatore quando la bottiglia viene consegnata ad un impianto di riciclaggio).
Non è andata meglio ad Eni che ha dovuto pagare una multa di ben 5 milioni di euro. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha emesso un provvedimento contro l'azienda petrolifera in quanto i suoi spot pubblicitari presentavano alcuni carburanti come bio, green e rinnovabili. Il tar del Lazio ha accolto il provvedimento dell' AGCM in quanto un carburante per sua natura non può essere non inquinante e soprattutto non può prendersi cura dell'ambiente.
Come difendersi dal greenwashing?
Come si evince, non è sempre semplice riconoscere il greewashing anche se sempre più clienti/consumatori stanno sviluppando una notevole sensibilità all'argomento.
Un valido aiuto può essere quello di andare oltre i termini green di cui si abusa nelle campagne pubblicitarie e accertarsi delle certificazioni dichiarate dalle aziende nei loro spot, slogan o nelle loro mission.
Dal punto di vista dell'impresa è ovvio che, vista la massima attenzione intorno all'argomento, è necessario affidarsi ad esperti competenti e consapevoli dei rischi di una comunicazione non onesta.
Questi rischi non sono solo di tipo economico, conseguenti ad eventuali denunce e relative multe, ma riguardano soprattutto la perdita di credibilità dell'azienda stessa che può causare danni molto più rilevanti e a lungo termine.
Scegliere come presentarsi è un biglietto da visita troppo importante per la sopravvivenza dell'impresa stessa. Le bugie lasciamole a chi non ha nulla da raccontare.